Nel caso X e X contro Belgio, C-638/16 PPU, la Grande Sezione della Corte di giustizia si è pronunciata riguardo al rilascio di visti umanitari da parte degli Stati membri dell’Unione europea, ritenendo che “non rientra nell’ambito di applicazione del Codice dei Visti bensì in quello del diritto nazionale la domanda di visto con validità territoriale limitata presentata da un cittadino di un paese terzo per motivi umanitari presso la Rappresentanza dello Stato membro di destinazione, con l’intenzione di presentare una domanda di protezione internazionale e, pertanto, di soggiornare in tale Stato membro per più di 90 giorni”.
Il caso nasce dalla domanda presentata presso l’ambasciata del Belgio a Beirut da una coppia siriana con tre bambini in tenera età, appartenente peraltro ad una confessione religiosa oggetto di persecuzione in Siria. La coppia rappresentava che i visti sarebbero serviti a consentire loro di lasciare la città assediata di Aleppo e presentare domanda d’asilo in Belgio.
Tuttavia, lo Stato belga respingeva la domanda ritenendo di non essere tenuto né sulla base dell’art. 3 CEDU, né dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra ad ammettere nel proprio territorio un cittadino di un paese terzo, atteso che l’unico obbligo attiene al non respingimento.
Rimessa la questione alla Corte, questa rileva che “Gli Stati membri non sono tenuti, in forza del diritto dell’Unione, a concedere un visto umanitario alle persone che intendono recarsi nel loro territorio con l’intenzione di chiedere asilo, ma restano liberi di farlo sulla base del rispettivo diritto nazionale”.
L’avvocato generale presso la Corte europea, Paolo Mengozzi, al contrario, aveva dato un parere diverso, ritenendo che “gli Stati membri devono rilasciare un visto per ragioni umanitarie quando sussistono fondati motivi per ritenere che un rifiuto esporrà le persone richiedenti la protezione internazionale alla tortura o a trattamenti inumani o degradanti”.
Non può non rilevarsi che l’interpretazione restrittiva adottata dalla Corte sembra porsi in stridente contrasto con il diritto d’asilo di cui all’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché con i principi cardine in materia di tutela dei diritti umani, e in particolare con l’art. 3 CEDU, considerata la grave situazione di pericolo cui era sottoposta la famiglia siriana.