Fine della convivenza. Il trasferimento della proprietà di un immobile al figlio non esonera il genitore dai propri obblighi di mantenimento

A seguito della cessazione della convivenza, il trasferimento al figlio della proprietà di un immobile non mette al riparo il genitore dal versamento dell’assegno di mantenimento. E ciò vale anche se c’era stato accordo tra le parti e le condizioni economiche sono rimaste immutate.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, mediante ordinanza n. 663/2022.
In primo grado, il Tribunale di Cosenza aveva dichiarato inammissibile la domanda della madre che mirava ad ottenere il mantenimento per il figlio (nato nel maggio del ‘99 dalla convivenza more uxorio col convenuto), considerato il mancato mutamento delle condizioni economiche successivamente alla stipula, il 30/10/2012, di un accordo in forza del quale il padre aveva trasferito al figlio la proprietà di un immobile, ottenendo in cambio l’esonero da obblighi di contribuzione «salve spese scolastiche e di abbigliamento». Il giudice si era limitato a precisare che il resistente doveva contribuire alle spese di vestiario ed a quelle straordinarie sostenute dalla ricorrente per il figlio, documentate e concordate, nella misura del 50%.
La Corte d’appello di Catanzaro, tuttavia, in accoglimento del reclamo proposto dalla donna, affermava che il padre era tenuto a contribuire al mantenimento del figlio, mediante versamento di un assegno mensile di 250,00 euro. E ciò in quanto l’accordo negoziale del 2012, “trascendendo dagli interessi disponibili delle parti”, era inefficace in mancanza di un controllo giudiziario, necessario a verificarne la conformità all’interesse morale e materiale del figlio.
Il padre ha dunque proposto ricorso in Cassazione che, nel rigettarlo, ha precisato che l’accordo tra le parti, benché valido e sia pure in assenza di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche dei genitori, non preclude al Giudice, chiamato a valutarne la rispondenza agli obblighi di mantenimento verso la prole figlio, di integrarlo e/o di modificarlo laddove ritenuto inidoneo o insufficiente allo scopo,
Nell’operare tale valutazione il Giudice deve ispirarsi al criterio fondamentale dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole (art. 337 ter, 2° co., cod. civ.). Sicché, prosegue l’ordinanza, l’adozione dei provvedimenti nell’interesse della prole non soltanto non incontra i limiti processuali (costituiti dal dovere di rispetto del principio della domanda e del principio dispositivo) di cui all’art.112 cod. proc. civ., “ma, a maggior ragione, non può ritenersi subordinata alla salvaguardia dei patti liberamente stipulati dai genitori nell’esercizio della loro autonomia negoziale, il cui contenuto e la cui congruità formano per l’appunto oggetto di delibazione”.
La Cassazione ribadisce il principio secondo cui “ In tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cui all’art.337 ter quarto comma c.c., anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell’autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo. Tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l’adempimento di un obbligo ex lege, l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all’interesse morale e materiale della prole”.

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